Femminismo in Italia: non chiediamo tutela ma diritto di esistenza!
L’azione politica femminista nel nostro Paese si è affermata contemporaneamente e con uno slancio paragonabile ai movimenti americani ed europei. Tuttavia, ha assunto una posizione antagonista rispetto al modello emancipazionista e garantista affermatosi nelle società liberali occidentali.
Molti gruppi neofemministi si sono schierati contro le leggi di protezione approvate negli anni Settanta. La legge che tutela la lavoratrice madre del 1971 con un orario più favorevole sottolinea il fatto che le cure domestiche e familiari siano esclusivamente femminili.

Questa politica di protezione assegna alla donna un doppio ruolo, quello di lavoratrice e angelo del focolare
Le donne svolgono un doppio lavoro. Uno studio recente della BCG (Lightening the Mental Load That Holds Women Back) rivela che le incombenze domestiche gravano quasi del tutto sulle spalle femminili all’interno di una coppia eterosessuale.
Lo studio - basato su interviste a più di 6.500 lavoratori di diversi settori in 14 paesi nel mondo tra cui l’Italia su attività domestiche comuni come la spesa, la cucina, le pulizie, il pagamento di bollette o la cura del giardino - rivela che in una relazione con entrambi i partner che lavorano una donna ha la maggior responsabilità delle faccende quotidiane rispetto al partner uomo: 2,5 volte superiore per quanto riguarda il bucato, 2,1 per la cucina, 1,8 per le pulizie, 1,6 per la spesa. Questo doppio ruolo equivale a una presa in carico del 75% del totale delle responsabilità familiari, che sottraggono non solo energie fisiche, ma anche mentali.
Il principio del carico mentale domestico è stato introdotto nel 1984 grazie all'articolo La Gestion ordinaire de la vie en deux della sociologa francese Monique Haicault. In questo articolo, la sociologa descrive come una donna in coppia e lavoratrice, senta ricadere su di sé la responsabilità della gestione delle faccende domestiche. Si tratta di un carico cognitivo importante, che va a costituire il fenomeno della doppia giornata che la donna è portata a condurre.

Al giorno d'oggi, la questione della suddivisione equa delle faccende domestiche in una coppia tra persone di sesso differente è cambiata, tuttavia l'equilibrio non è ancora stato raggiunto: è un dato di fatto che la preoccupazione maggiore per quanto riguarda la gestione delle faccende domestiche e lo svolgimento di queste, ricada ancora sulla donna.
Dopo questo breve excursus - che ha avuto lo scopo di mostrare quanto i timori delle femministe fossero sensati - mi concentrerei sulle modalità con le quali i gruppi femminili hanno criticato il sistema maschile dominante.
Le militanti si allontanano
Nell’operare la critica al patriarcato, le femministe si allontanano dalla società mettendo in atto forme di separatismo e dando vita a gruppi ridotti in cui sperimentare le pratiche di autocoscienza.
In questi gruppi vengono messi in discussione i ruoli sociali imposti. Il proprio corpo diventa centrale così come il piacere sessuale che non è più alla mercé degli uomini. Le donne costruiscono relazioni solide tra di loro e riscoprono la sorellanza.
A partire dai primi anni Settanta vengono organizzati diversi convegni per sole donne. Dopo l’incontro con il collettivo francese Psych et Po, il femminismo italiano si arricchisce di pratiche nuove con lo scopo di recuperare la propria identità sessuale: il lesbismo per esempio diventa un atto politico esplicito.
Uno dei convegni più significativi organizzato dalle femministe francesi è quello di Vandea, una donna milanese racconta così l’esperienza:
Per me essere vista, conosciuta è stata una gioia. Constatare che questo mio corpo veniva non solo accettato ma che la conoscenza di me era fisica assieme che intellettuale, e che venivo amata interamente mi ha dato una grande forza.
Tuttavia, se le femministe francesi preferiscono separarsi in modo radicale dalla società, le italiane si rendono conto del fatto che l’istituzione maschilista non possa essere sovvertita semplicemente crogiolandosi all’interno di un gruppo posto ai margini.
Il primo convegno femminista italiano ha inizio nel novembre del 1974 a Pinarella di Cervia, settecento donne provenienti da ogni parte di Italia esprimono le proprie idee: parlano voci differenti e si accentua la discontinuità del movimento.
Soltanto nella seconda metà degli anni Settanta, i gruppi femministi si avvicinano alle istituzioni affiancandosi alla sinistra storica.

A partire dal 1972 l’aborto è al centro del dibattito
In Italia si apre un processo contro Gigliola Pierobon, militante di Lotta Femminista, accusata e condannata per un aborto avvenuto otto anni prima. Adele Faccio, Emma Bonino e Maria Adelaide Aglietta danno vita al CISA (centro di informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto). Il centro organizza voli a basso costo per condurre le donne nei Paesi dove è possibile abortire in condizioni sanitarie sicure. Nel 1975 il medico Giorgio Conciani che pratica aborti mediante aspirazione viene arrestato, le femministe scendono in piazza per manifestare il loro dissenso. 20 mila donne rivendicano l’istituzione di una legge che garantisca l’aborto libero, gratuito e assistito. La legge n°194 viene approvata nel 1978.
Il femminismo degli anni Settanta è ancora in Italia un tema marginale nella ricerca storica
Contrariamente a quanto è avvenuto negli USA, l’università italiana non è stata in grado di fornire l’elaborazione di un pensiero critico sull’identità di genere. Anche per quanto riguarda l’ambito artistico, se si esclude l’interesse eccezionale di alcune critiche e curatrici militanti, l’arte femminista non riscontra un’accoglienza confrontabile a quella ricevuta nel contesto americano: non è un movimento popolare. La riflessione femminista viene portata avanti soprattutto in ambiti alternativi, in spazi gestiti da donne, connotati spesso in senso politico e anti-istituzionale.