Femministe: ritratti di un’epoca, il personale è politico!
Il 12 ottobre del 2018 è uscito su Netflix il documentario Feminists: What Were They Thinking?
Diretto da Johanna Demetrakas, il film propone una serie di interviste fatte ad artiste, attrici, speaker radiofoniche, musiciste, performer, donne che hanno avuto un ruolo fondamentale all’interno del movimento femminista di prima ondata degli anni Settanta. Il documentario è stato finanziato dalla International Documentary Association e da una campagna di crowdfunding che ha permesso di raccogliere 75 mila dollari.

Attraverso le fotografie di Cynthia MacAdams, raccolte nel libro pubblicato nel 1977 Emergence, è possibile tornare indietro nel tempo per assaporare un momento storico rivoluzionario come pochi altri.
Gli anni Settanta rappresentano una sorta di epifania femminile collettiva
È proprio in questo periodo che le donne non si sentono più sole e riconoscono un nemico comune: il patriarcato che deve essere sovvertito per il bene di tutti. La condizione subalterna, la mancanza di diritti e di strutture adeguate alle donne hanno provocato dibattiti e manifestazioni colossali che hanno radicalmente cambiato la società e i suoi standard. Le istituzioni sono state messe in discussione e le donne si sono riappropriate del loro corpo e della loro sessualità fino ad all’ora di dominio maschile.
Questi volti rappresentano il momento in cui le donne si assunsero la responsabilità di se stesse. Le donne trovavano se stesse e non avevano paura di esprimersi.
Le donne ritratte nelle fotografie raccontano le proprie esperienze personali fatte di soprusi e differenze di genere
Phyllis Chesler professoressa, autrice e attivista racconta che quando rimase incinta teneva un corso all’università. Era molto difficile insegnare, pubblicare libri e fare la madre, così chiese una variazione di orario.
Mi dissero che dovevo scegliere se fare la professoressa o la mamma. Mi prendevano in giro?
Judy Chicago decise di frequentare nei suoi studi precedenti alla laurea, un corso di storia “intellettuale” europea nella seconda metà degli anni Cinquanta. Il professore decise, verso la fine del semestre, di preparare alcune lezioni con un focus sui contributi femminili alla storia occidentale. Nonostante le promesse dichiarate a inizio corso, durante l’ultimo incontro annunciò tragicamente la totale mancanza di apporti innovativi e utili da parte del sesso femminile. Questa esperienza ha angosciato e confuso l’artista: se nessuna donna prima di lei aveva raggiunto importanti traguardi e contribuito ad arricchire il panorama culturale occidentale, come sarebbe stato possibile per lei anche solo accingersi ad un così arduo tentativo?

Quando ero al college seguivo i corsi, facevo sempre domande e il professore non mi chiamava mai, interpellava solo gli altri ragazzi, sapevo che era per via del fatto che fossi una donna ma era impossibile parlarne, se ne parlavo mi dicevano: sei una suffragette?
Jane Fonda racconta della sua infanzia e del suo carattere irrequieto, una caratteristica tipica di ogni bambina che si affievolisce con la pubertà: quando la femminilità fa capolino, le ragazze devono diventare docili e addomesticate, la rabbia è considerata poco femminile. È una prospettiva tipicamente maschile.
Avevamo tante querce in giardino, io mi arrampicavo e mi sentivo alla guida del mio esercito come Giovanna d’Arco, quella era una delle immagini che avevo di me stessa. O ero il bandito mascherato che arrivava e salvava tutti. Se volevo avere potere dovevo essere maschio.
In questo periodo si apre il dibattito circa gli ospedali psichiatrici e il trattamento delle pazienti
Phyllis Chesler pubblica Women and Madness nel 1972. Le donne ospedalizzate per crisi e patologie psichiche non vengono curate nella maniera corretta, spesso viene loro insegnato a come re-inserirsi nella società per ritornare a svolgere il ruolo di casalinghe e madri. Quando le donne leggono per la prima volta gli articoli pubblicati da Chesler si dimettono dagli ospedali, le femministe diventano psicoterapeute e la condizione psicologica delle stesse indubbiamente migliora.
Ho richiesto un risarcimento cospicuo all’associazione americana della psicologia, a nome di tutte le donne mal curate.
Le artiste e le femministe si riappropriano della loro immagine e della sessualità
Le immagini delle donne, costruite da uno sguardo maschile per la visione maschile, hanno contribuito alla formazione di un paesaggio visuale quotidiano caratterizzato dalla loro onnipresenza nel mondo dell’arte, della fotografia e del cinema, così come nel panorama mediatico, pubblicitario e della moda.

Nel 1970, le femministe affermano la propria soggettività attraverso il riconoscimento in positivo del proprio sesso.
Il piacere sessuale, parallelamente alle rivendicazioni sociali quotidiane, diventa per la donna una delle forme più importanti della sua libertà. Attraverso l’iconografia della vagina per esempio, le artiste si oppongono all’oggettificazione e alla subordinazione del proprio sesso, alle rappresentazioni pornografiche o all’assenza di desiderio e piacere intesi come superflui e narcisisti.
Il corpo femminile delle donne non era più dominio della pornografia, ma una fonte di orgoglio. Il corpo doveva essere celebrato.
Il documentario - che vi consiglio vivamente di guardare - non vuole essere eccessivamente nostalgico, è piuttosto un excursus che ha lo scopo di riflettere circa i cambiamenti della società. Le donne si sono battute per i loro diritti e hanno radicalmente plasmato idee, cultura e istituzioni sociali.
È necessario comunque specificare alcune delle problematiche relative al movimento: l’identità sessuale veniva considerata fondamentale, non esisteva ancora il concetto di identità multipla e il femminismo degli anni Settanta è prevalentemente occidentale-borghese, questo significa che non è stato in grado di considerare pienamente l’identità delle donne di colore e non-occidentali.
Il femminismo si è evoluto, con il tempo ha preso coscienza della molteplicità e complessità della sessualità e identità.